Sono solita, per i film e per la musica, andare a vedere ciò che ha avuto meno risonanza o di cui si è comunque parlato meno.
E qui voglio parlare di un gioiellino intenso, ben fatto, pressoché introvabile (forse solo su una piattaforma) , ed è "PIANO, SOLO" del 2007
Quando ti capita di guardare un film su una storia vera , dal finale già noto, drammatico, ti poni con un animo preparato a commuoverti o immalinconirti. Niente di tutto ciò. Sono stata immersa totalmente. anche affascinata, sebbene sia vera e triste.
"Piano solo" racconta la storia di Luca Flores, un geniale musicista italiano, morto suicida nel 1995, poco prima di compiere quaranta anni.
Il film si apre sull'infanzia trascorsa in Africa, dove la numerosa famiglia si è trasferita per seguire il padre, Giovanni Flores, geologo di fama internazionale.
Dopo la morte della madre la famiglia Flores si disperde. I due fratelli maggiori vanno a studiare in Inghilterra, Luca e Barbara in Italia. A Firenze Luca si diploma in pianoforte con il massimo dei voti, ma il suo destino non è quello di diventare un pianista classico. E’ curioso di scoprire altri mondi, e incontra giovani innamorati del jazz che gli trasmettono la loro passione. Il suo grande talento, unito a un costante studio, porta Luca a suonare con i più grandi musicisti jazz dell'epoca, fra cui Chet Baker. Il film racconta non solo la parabola professionale, ma anche gli amori, e poi i turbamenti, di un giovane uomo che non riesce a venire a patti con i fantasmi del passato, fino alla tragica esplosione della follia. Una vita, quella di Luca Flores, raccontata attraverso la grazia del talento e la dannazione della malattia, dai momenti più solari a quelli più cupi, dalla compagnia degli amici alla solitudine disperante dell'autolesionismo...Dal romanzo di Walter Veltroni "Il disco del mondo – Vita breve di Luca Flores, musicista".
Avevo letto quanche recensione del libro di Walter Veltroni e sommariamente sapevo l'argomento.Sommariamente. Il film parte dal libro ma, come viene spiegato nella conferenza stampa, proprio dal regista Milani, dallo sceneggiatore e soprattutto dall'attore Kim Rossi Stuart, non ci si è soffermati troppo sugli aspetti autolesionisti, i ricoveri, l'elettroshock (che contribuisce a svuotare una persona e la sua mente). Il Luca Flores del film è un giovane solitario, non ha smania di apparire, vive contrasti, contraddizioni e sensi colpa in modo molto intimo. Magari, in quegli anni, altri si 'sfogavano' abbracciando alcune forme di fare politica, lui è in disparte, con la sua musica. E Kim, oltre il libro, "entra" in Luca partendo dalle lettere ai familiari, alla fidanzata, i filmini, i concerti, soprattutto l'ultimo da cui si evince il tormento e il progressivo allontanarsi dal mondo.
Nelle solari e colorate immagini iniziali in Mozambico questo bimbo mi è subito apparso differente e sensibile, bisognoso di conferme dell'amore da parte della madre che adorava e del padre sempre lontano. Questo padre che 'partiva sempre', che decideva il futuro dei figli e che lui, da grande, 'accuserà' per non avere tenuto unita la famiglia. Una famiglia segnata dalla morte della madre nell'incidente di cui Luca si sente in qualche modo responsabile perché gli sguardi complici e rassicuranti della mamma, dallo specchietto retrovisore, furono la distrazione che provocò l'incidente.
Questo l'incipit ma,come sempre dico, un film dove la parola è centellinata, appositamente, e contano sguardi, umori, silenzi, va solo visto.
"Piano solo" è un altro di quei film che mi ha preso completamente. Perché mi ha confermato che chi ha talento, chi possiede il cosiddetto 'orecchio acuto', e in un niente è capace di suonare opere complicate, passare da un genere all'altro, vive una condizione di superiorità.L 'essere genio, diciamolo, spesso isola. E non esiste altro linguaggio che la musica, in questo caso, il pianoforte.
C'è molto pudore, nel racconto, soprattutto nel mostrare le emozioni più profonde. Così come sono stata rapita da Saverio in "Senza pelle", così mi è accaduto qui, ma in modo diverso. La fragilità di Saverio si percepisce da subito, così come si sa dei suoi problemi psichiatrici, le cure, la ribellione, la paura, la ricerca dell'Amore.
Luca Flores, volendo, avrebbe costruito una vita "normale", una famiglia ...ma la musica lo aveva scelto. In fondo le cose non le cerca, gli arrivano, come fosse una calamita che attrae. E' lui che viene cercato da due jazzisti locali che avevano frequentato lo stesso conservatorio ,per cominciare la carriera in un trio locale; è lui che viene "catturato" dalla ragazza della sua vita ed è sempre lui che viene portato in tourneé europee. Tutto succede quasi per caso, come se fosse destino. E i progetti di una vita 'normale' che gli viene anche richiesta con decisione dalla fidanzata , sono poco compatibili con quelle di un artista che deve girare il mondo col suo piano. Luca non ha la forza per sopportare una vita anormale che gli piove addosso a causa del dono che ha ricevuto: la musica, e quella capacità di eccellere con una naturalezza incredibile sui tasti del pianoforte.
I primi momenti in cui realizza che è 'solo' , sono proprio le prove con gli amici .Se era passato da splendide esibizioni classiche al jazz è perchè l'aveva subito indivuato come il suono dell' inclusione perché ognuno deve e può improvvisare, fare di testa sua, ma allo stesso tempo parlare e comunicare con gli altri. È il teorema del contrasto che ha la sua risposta nell'armonia. Ed invece nota un isolamento tra loro tre. E' un altro elemento che si aggiunge ai suoi pensieri strani, alienanti, ai ricordi, ai dolori passati.
Come sempre Kim risulta un interprete ad hoc. Nella compostezza, nel maneggiare il pianoforte ( ha diteggiato per un mese e mezzo, per apparire quanto più credibile possibile) , e per quel lento entrare nella patologia depressiva consapevolmente e, al tempo stesso, provare ad uscirne. Lo fa quando torna in Mozambico , alla radice di ciò che lo tormenta e da dove potrebbe rinascere.
Non vuole dar fastidio, Luca-Kim. A nessuno dei familiari sebbene vi sia la sorella -Cortellesi- che capisce e aiuta come può. Tanto meno al padre che ora, in età avanzata si rende conto ma poco può fare. La salvezza di Luca non può compiersi in quelle dinamiche relazionali indebolite ed opacate col tempo.
Le musiche che suona , le inquadrature, le luci, fanno di questo film un lavoro genuino e al tempo stesso sofisticato. Le immagini sono ristrette il più possibile attorno al personaggio centrale non solo fasciandole sempre di luci scure ma tenendo spesso il suo volto e le sue espressioni per metà quasi in ombra; con evidenti intenzioni simboliche con ritmi che seguono più l'evolversi degli stati d'animo che non la progressione dei fatti. Kim Rossi Stuart riesce a far trasparire dalla sua maschera segnata l'itinerario angosciante del protagonista dalla lucidità alla pazzia. Con una misura, un equilibrio, una precisione frutto, sempre, di sfumature meditate.
La Musica è il suo rifugio, le note sono le parole che non sa dire ma diventa anche una dipendenza, meravigliosa, quanto 'pericolosa', per una persona come Flores che ha già dei pesi insormontabili nel profondo dell'anima.
Agli altri Luca Flores ha lasciato la sua vita, alcuni pezzi straordinari, delle mani prodigiose e un sorriso indifeso.

"Le parole ci ingannano con i loro significati mentre la musica è libera può volare in paradiso, scendere all'inferno o rimanere a galleggiare nel limbo e io amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come se fosse l'ultima."
IL TRAILER
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