Per chi non ha avuto modo ancora di acquistare la rivista 7 allegata al Corriere della Sera : testo e foto
IL GATTOPARDO E' ANCORA DENTRO DI NOI?
Kim Rossi Stuart-Don Fabrizio "L'opportunismo resta un carattere nazionale ma le cose cambiano..." di Paolo Di Stefano
"Il Gattopardo", Kim Rossi Stuart: «Come Don Fabrizio credo nella famiglia ma sono un padre migliore»
Qualcuno, alla sua uscita nel 1958, definì Il Gattopardo come il romanzo della crisi. Una gran bella intuizione, che ci può venire utile, quasi settant’anni dopo, per coglierne tutta l’attualità. La sua uscita fu un fulmine a ciel sereno, che divise il mondo delle lettere tra estimatori incondizionati e detrattori implacabili. Questi ultimi consideravano il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa un’opera vecchia, reazionaria e persino dannosa: è rimasta celebre la bocciatura di Elio Vittorini che ne respinse due volte la pubblicazione, per Mondadori e per Einaudi. Fatto sta che il libro, accolto da Feltrinelli, fu (ed è ancora) un successo strepitoso e inatteso, e cinque anni dopo, con il film di Visconti, la polemica riprese ancora più forte. Al centro, il protagonista, don Fabrizio, principe di Salina, che assiste inerte allo sbarco di Garibaldi in Sicilia e al cambio d’epoca per la nobiltà sicula. Il tema del trasformismo investe soprattutto il giovane Tancredi, nipote del principe, capace di adattarsi schierandosi ora qua ora là.
Kim Rossi Stuart è don Fabrizio – come fu Burt Lancaster per Visconti – nella miniserie tv tratta dal Gattopardo con la regia di Tom Shankland, Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti.
«Ho affrontato la parte», dice quasi divertito, «con una santa e fortunata incoscienza. Ho già detto che non avevo mai visto il film di Visconti e questo mi ha dato una grande libertà, un approccio spensierato. La statura letteraria del romanzo e del personaggio quella sì, mi ha fatto sentire un po’ più responsabile, ma grazie al cielo senza angoscia».
Che cosa le è rimasto della figura di don Fabrizio?
«Il tema del cambiamento è fondamentale, non tanto però nella solita accezione “gattopardesca”: mi sono chiesto piuttosto quanto nell’esperienza umana, pur essendo difficile rinunciare alle abitudini, alle rassicurazioni del passato e ai propri privilegi, sia persino salvifico il cambiamento, anche quando avviene in un contesto traumatico. L’idea che mi sono fatto è che tra i non detti, anche grazie all’ironia, ci sia una critica del materialismo e dell’opportunismo, un’inevitabile riflessione su cosa conta fare in questa vita al di là della difesa dei propri interessi».
Il Gattopardo viene di solito identificato nella frase di Tancredi: «Perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». Che cosa le suggerisce oggi?
«Tutto sommato, ho la sensazione che sia la crosta, non la sostanza del libro. Preferisco vedere nel cuore di questo romanzo, che amo e ho amato alla follia, un’altra frase famosa: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”. Questa presa di coscienza è malinconica ma lascia spazio a una volontà positiva».
D’accordo, ma il gattopardismo trasformista di cui si parla quando si pensa al romanzo, rimane ancora nell’Italia attuale dopo tanto tempo?
«È un carattere eterno, che non riusciamo a scrollarci di dosso. Un opportunismo a salvaguardia dei propri valori: è un meccanismo inevitabile e connaturato, dal quale dovremmo sapere prendere le distanze. Ma confesso che guardo all’attualità da una distanza siderale».
Disinteressato alla politica?
«Diciamo che cerco di mantenere uno sguardo più grandangolare che mi consente di amare l’essere umano. Cosa che non mi sarebbe possibile se guardassi al microscopio l’attualità politica».
Anche tenendosi a distanza, non le sembra che siamo nel pieno di cambiamenti straordinari e sconvolgenti tesi a rinsaldare i privilegi eterni di pochissimi? Penso alla politica di Trump…
«Certo, sono d’accordo. Per questo faccio non uno ma tre passi indietro. La magia del Gattopardo è che riesce a parlarci ancora oggi di questa chiusura nei nostri vantaggi acquisiti: tutte cose che, come dice il principe, ci lasceranno solo con un pugno di mosche in mano».
Nella riscrittura vostra si punta molto sulle personalità femminili, a cominciare da quella di Concetta, la figlia di don Fabrizio, che qui prende più forza e carattere rispetto alla penombra in cui rimane nel romanzo.
«In effetti è una scelta coraggiosa, una sfida che mi è parsa interessante».
Uno dei motivi principali del libro è quello dei rapporti tra le generazioni, i padri e i figli, le figlie…
«Ho sentito forte in don Fabrizio e condiviso il desiderio di non avere cedimenti sull’unità della famiglia, nonostante i tradimenti, e di creare un futuro stabile. Questo discorso mi appartiene molto. Ovviamente siamo anche tanto lontani, per fortuna: per esempio nel discorso sui matrimoni di convenienza… A proposito di rapporti generazionali, quel che mi ha colpito è la magia che si è creata tra me, don Fabrizio, e gli interpreti più giovani: è come se il principe mi avesse sospinto verso di loro in una specie di flusso naturale».
"IL PRINCIPE AVEVA CARISMA E TOMASI DI LAMPEDUSA LO PROTEGGE. NON NE APPROVO LA RAPACITA' SU TUTTO E TUTTI, IL SUO EGOTISMO"
Certo che don Fabrizio ha anche molti aspetti oggi inaccettabili…
«Leggendo il libro si rimane avvolti dalla sua personalità, e gli aspetti spiacevoli vanno un po’ stanati dietro il suo carisma. E ce ne sono davvero tanti, direi: un atteggiamento rapace verso tutto e tutti, una voracità dei sensi strabordante, egotica e animalesca. Ma anche nel suo essere fedifrago Tomasi gli attribuisce un sincero tormento interiore mettendolo di fronte al bigottismo della moglie. Insomma, l’autore finisce un po’ per giustificarlo e redimerlo. Ma la grandezza del personaggio sta proprio nella sua complessità e ricchezza di sfaccettature contraddittorie».
Con qualche momento di fragilità, don Fabrizio si presenta però con tutto il suo autoritarismo patriarcale ottocentesco. Che ne dice da padre di tre figli piccoli?
«Certo, don Fabrizio è un padre di fronte al quale i figli restano spesso in rispettoso silenzio. Anche in questo possiamo criticarlo, pensare che sia un padre padrone e in parte condannarlo. Ma credo ci sia comunque utile per un confronto con noi padri di oggi. Per riflettere sul fatto che un figlio dovrebbe vedere nel padre una personalità più grande e matura. Cosa ne sarà di tutti quei figli di oggi che si ritrovano di fronte a padri bisognosi del loro consenso? Padri minuscoli, che costringono i figli a sentirsi giganteschi, onnipotenti, privi di confini e di limiti?».
La difficoltà di capire il vento delle grandi novità, che è del principe, appartiene anche ai padri contemporanei?
«In effetti la spinta emotiva che ho sentito nel recitare questo personaggio è una condizione che condivido con tanti padri del nostro tempo: affrontare un’era tanto nuova da risultarci quasi inacomprensibile per molti aspetti. Sono difficoltà ambientali: ogni giorno cerco di decodificare i problemi di mio figlio Ettore, che ha 13 anni. Ma con questi discorsi si rischia di cadere in tematiche scontate sulla vita dei nostri ragazzi».
A cosa allude?
«Alludo, per esempio, ai carichi che mettiamo addosso ai nostri figli, carichi non proporzionati all’età. Tutte cose che compromettono il giusto equilibrio della crescita, nell’infanzia e nell’adolescenza».
La stessa indipendenza che lei ha avuto da giovane, lasciando prestissimo la casa dei suoi genitori, oggi sarebbe una conquista difficile per i nostri figli, non trova?
«Certo, più difficile. Quel che vedo in giro a volte mi lascia sgomento. Come vengono gestiti i figli: lo spazio libero riempito di attività ripetitive, tipo il Giorno della Marmotta… Feste dei bambini tutte uguali, in serie, “scarta la carta, scarta la carta…”, i soliti quattro pupazzi, le borse, sempre le stesse cose, con ’sti genitori presenti ovunque, non uno ma tutt’e due, sembrano più le feste dei genitori che le feste dei figli. Un’ossessione protettiva insopportabile e anche l’esigenza di voler compiacere i figli. Devastante».
Lei è un padre preoccupato?
«Lo sforzo quotidiano è di non farmi angosciare, di non rendere totalizzante la mia presenza. Il più grande regalo che possiamo fare ai nostri figli è metterli in condizione di essere indipendenti. Ovviamente, poi, ogni cosa è a doppio taglio. D’accordo l’autonomia, ma hanno anche bisogno di genitori che non li lascino soli nelle loro stanzette a giocare con lo smartphone o con il computer».
«CON MIO FIGLIO ETTORE, CHE HA 13 ANNI, CERCO DI NON RENDERE TOTALIZZANTE LA MIA PRESENZA. DEVO AIUTARLO A ESSERE INDIPENDENTE»
Il disagio di capire i figli ha molto a che fare con il mondo della tecnologia?
«Sì, la tecnologia si è impossessata della vita quotidiana. È un ambito in cui noi genitori fatichiamo a capire e a prendere le misure, un po’ come il principe di Salina rispetto al cambiamento in corso. Internet ha superato di gran lunga la nostra capacità di gestione: dobbiamo staccarli a forza dalla tecnologia o li abbandoniamo ai loro percorsi incontrollati dentro il mondo virtuale? È possibile trovare una via di mezzo?».
Alla fine il film di Visconti l’ha visto?
«Non ancora, nell’attesa di questa nostra intervista avrei voluto vederlo per farle una sorpresa, ma purtroppo non ce l’ho fatta. Tre figli e tante cose da fare…».
CHI E' -LA VITA Nato a Roma il 31 ottobre 1969, Kim Rossi Stuart ha 55 anni. Si è sposato il 2 marzo 2019 con la collega Ilaria Spada (44) che era la sua compagna dal 2011. La coppia ha tre figli: Ettore (13), Ian (5) e la piccola Lea (3).
LA CARRIERA-Ha debuttato a 5 anni in Fatti di gente per bene (1974) di Mauro Bolognini e da allora ha interpretato altri 40 film e 10 serie tv.
IL REGISTA- In tre film è stato regista e protagonista: Anche libero va bene (2006), Tommaso (2016) e Brado (2022)
I PREMI
Alla Mostra di Venezia 1998 Premio Pasinetti per I giardini dell’Eden e nel 2004 per Le chiavi di casa. Nel 2007 David di Donatello e Nastro d’Argento al miglior regista esordiente per Anche libero va bene. Nastro d’argento al miglior attore per Romanzo criminale (2005), Vallanzasca - Gli angeli del male (2010) e Cosa sarà (2020).
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