Ritengo che essere critici (cinematografici, nelllo specifico) necessiti di una serie di caratteristiche che spesso non ritrovo, leggendo qua e là, e soprattutto in questi ultimi tempi. Già la parola "critica" rimanda a quella di "giudizio" . E giudicare è senz'altro difficile, in ogni ambito. Più di tutto, oltre le competenze tecniche, la passione per la scrittura, lo studio che deriva dalla visione di film di vario genere, credo che fondamentale sia non sentirsi superiori al film o all'opera che si sta analizzando, ma trattarla con rispetto e serietà.
Ecco, queste caratteristiche le ho trovate in due recensioni/ riflessioni di Mario Sesti su due film con Kim Rossi Stuart : "Anche libero va bene" e "Anni felici"

Ne riporto qui degli stralci :
"Buona parte della potente forza di attrazione ed empatia del film Anche libero va bene sta nel fatto che il bambino protagonista ha una percezione della realtà così intensa che gli è impossibile schivare la formidabile serie di problemi che la vita gli lancia contro. Come tutti i migliori film sull’infanzia (De Sica docet), la relazione Padre/figlio, si rovescia: è il bambino, nel compiersi del film, che diventa protettivo nei confronti del padre (ovvero, direbbe Joyce: padre del proprio padre).
Questo rovesciamento è allo stesso tempo così misterioso e toccante che nulla, oltre il film, è in grado di spiegarlo meglio. E’ il bambino che sopporta e resiste: benchè sia il più innocente. Rileggendo le recensioni, tutte buone, che il film ha avuto, si scopre che ciò che viene sottolineato, soprattutto, è il legame edipico (la storia di due uomini innamorati della stessa donna) o la vulnerabilità dell’infanzia.
In realtà la sorprendente sensibilità di tutta l’opera sta nel rendere così intimi per lo spettatore due tratti che chiunque abbia avuto un infanzia, conosce bene: la sua solitudine (che è anche un mondo di libertà e scoperta: che il protagonista abita a cielo aperto, sopra i tetti, senza che alcun adulto lo sappia) e la forza incredibile dell’infanzia, di affrontare ogni svantaggio senza avere alcuna delle reti di protezione (materiali e psichiche) degli adulti.
Alessandro (Tommaso) , nel film, è sempre un metro avanti agli altri. E il primo a porre il problema dei problemi (“E se poi se ne va via un’altra volta?”), il primo ad accorgersi che si è verificato, l’unico capace di entrare in soccorso del padre. Sopporta e resiste.
Ora, io credo che nel film di Kim Rossi Stuart ci sia un talento all’opera così evidente da farne il miglior esordio degli ultimi anni (insieme a Miele della Golino). Credo che abbia, come pochi film italiani, una capacità di frugare nella fobia più profonda della nostra cultura (l’unità della famiglia) come solo altri grandissimi film italiani hanno saputo fare (due esempi fra tutti: Rocco e i suoi fratelli e Il ferroviere) in modo tale da scuoterci (commuoverci e spaventarci, allo stesso tempo) come soltanto il vero cinema riesce a fare. Credo anche che il film possieda capacità di concentrazione drammatica e narrativa, una qualità di interpretazione così pericolosa, una regia tanto semplice quanto impeccabilmente efficace, che basterebbero da sole a giustificarne la scelta.
Ma ciò che amo soprattutto, nel film, è questa idea di cinema, così vicina al cinema, da raccontare il punto di vista dei più deboli mostrandone la forza. Non so se si possa definire una sorta di risarcimento. Ma è qualcosa che appartiene alla sfera della giustizia, della bellezza del bene, dell’empatia che ci aiuta a cercare di continuare a rimanere umani (c’è qualcuno, oggi, che pensa di non averne bisogno?). Non sono categorie estetiche, ma io penso che appartengano al cinema come il dettaglio di uno sguardo allarmato, la panoramica sullo skyline di New York ed un controluce sulla nebbia." (Mario Sesti da Facebook, 14 marzo 2018)
Festa del cinema 2015: singolare sezione dedicata a "I film della Vita" . Mario Sesti sceglie "Anche libero va bene " - Il video:

Nessun commento:
Posta un commento
Commenta qui